LA FRAGILITÀ DEL SUOLO E LA PREPOTENZA DELLO SVILUPPO

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di Giulio Sapori

Il suolo è una pellicola che avvolge tutto il pianeta, terre emerse ovviamente. Pochi sanno che si tratta di una pellicola estremamente sottile perché ha uno spessore che varia tra i 70 e i 200 centimetri. È tutto lì. Ciò di cui parleremo è un velo, un’inezia, un sottile strato di polvere terrestre dentro la quale avvengono un mondo di cose che fanno del suolo il sistema senza dubbio più complesso della Terra” (Paolo Pileri, Che cosa c’è sotto, p. 19)

Cos’è il suolo? Domanda difficile, a cui ancora neanche i pedologi - gli studiosi del suolo - sanno rispondere chiaramente, tanto è complessa l’entità che studiano.
Su una cosa, comunque, concordano: il suolo non è riducibile a un supporto, né a una superficie, ma si configura casomai come un sistema.

La definizione del suolo come ‘supporto’ rimane, però, la più diffusa socialmente. Non solo a causa della mera ignoranza, ma per un semplice motivo politico: è la definizione più funzionale a una società fondata sull’appropriazione privatistica della terra a proprio uso e consumo.

Infatti a differenza dell’aria e dell’acqua, la proprietà privata della terra - pur essendo più o meno diffusa in diverse società - è dogma centrale nelle società capitalistiche.
Ridotto a supporto privato, da comprare o vendere, non ne vediamo più la componente essenziale: la vita.
 
La vita si sviluppa in tre ambienti: l’acqua, l’aria e il suolo. Contrariamente ai primi due, puramente minerali, il suolo è caratterizzato dal fatto di essere organico-minerale. Tale caratteristica gli conferisce due proprietà: la prima è che esso esiste soltanto sul pianeta Terra, in quanto occorre materia organica, dunque vita, per fare un suolo. Molti pianeti che ci circondano hanno un’atmosfera o dell’acqua, ma nessuno possiede un suolo. A ragione gli antichi hanno dunque chiamato il nostro pianeta Terra, in quanto è il solo che possieda un suolo. (…) La seconda proprietà che conferisce al suolo la sua composizione organico-minerale è la fragilità. Mentre l’aria e l’acqua sono formati da composti minerali i cui legami sono atomici, e dunque molto solidi, il suolo è formato da legami elettrici, facili da spezzare”. (Claude e Lydia Bourguignon, Il suolo, un patrimonio da salvare, p. 20)

Quest’ultimo è il motivo per cui mentre l’aria e l’acqua possono essere inquinate senza però essere distrutte, il suolo può esserlo. È una sorta di super-organismo estremamente fragile e con una lentissima autoriproduzione: per formare 2,5 cm di suolo occorrono 500 anni; per distruggerlo, invece, bastano pochi secondi (il tempo di una colata di cemento).

Due libri che possono aiutare a farsi un’idea meno riduzionista del suolo sono quelli di Paolo Pileri – urbanista - Cosa c’è sotto. Il suolo, i suoi segreti, le ragioni per difenderlo (Altreconomia Edizioni, 2016) e di Claude e Lydia Bourguignon - microbiologi francesi - Il suolo, un patrimonio da salvare (Slow Food Editore, 2004). Libri divulgativi che restituiscono dignità, spessore e, soprattutto, bellezza a questa “striscia di terra feconda”, per dirla con Rilke, senza la quale la Terra non sarebbe tale.

Scopo degli autori non è solo quello di spiegarci “cosa c’è sotto” i nostri piedi ma, principalmente, quello di cercare di arginare le offese che le pratiche umane, spesso inconsapevolmente, compiono verso il suolo. Nello specifico, le pratiche criticate in questi due libri sono quelle urbanistiche (Pileri) e quelle agricole (Bourguignon).

Faccio una piccola nota: il libro dei Bourguignon è veramente affascinate, ma lo avevo iniziato con una certa titubanza sia perché non condivido, in gran parte, la visione del mondo slowfoodiana, sia per via del titolo di impronta economica (in realtà una mala traduzione dell’originale).

Definire il suolo, come si è detto, è impresa difficile. Il motivo è che non è un oggetto, con dei confini dati, ma un ambiente dinamico, un ecosistema in evoluzione.

La “pelle sensibile del mondo”, alcuni lo hanno chiamato, interfaccia tra organico e inorganico, spazio ‘magico’ in cui avviene una vera e vitale transustanziazione: da morte a vita o, più prosaicamente, da cacca a cibo. Dal suolo, infatti, prendiamo il 95% del cibo che mangiamo e, per mantenerlo in salute, dobbiamo ‘restituirgli’ ciò che gli sottraiamo.

È un mondo complessissimo di cui vediamo solo la superficie, perdendone tutta la ricchezza. Nel suolo, infatti, vive l’80% della biomassa e il 30% della biodiversità complessiva del pianeta. E noi lo stiamo uccidendo. Ogni ora. Ogni giorno. Ogni anno, di più.

Dalla rivoluzione agricola ad oggi abbiamo eroso 2 miliardi di ettari di suoli fertili, di cui la metà negli ultimi cento anni, secolo della tanto lodata Rivoluzione Verde (che forse andrebbe chiamata Grigia).

Per questo abbiamo bisogno, oggi più che mai, di partigiani, partigiani del suolo che lo liberino dalla stretta soffocante dello sviluppo ecocida.
La situazione è, infatti, sempre più tragica: solo in Italia ogni giorno vengono distrutti a causa del cemento 70 ettari di suolo che, volendo, potrebbero sfamare circa 420 persone, assorbire 259 milioni di litri di acqua piovana, stoccare 17250 tonnellate di carbonio, fornire molti altri servizi ecosistemici e ospitare tantissima vita.

Si fa sempre più urgente, date le conoscenze e i danni provocati dalle nostre attività, una ridefinizione sia di suolo, non più riducibile a “supporto”, sia di ambiente, non più concepibile come “fondo di risorse a disposizione”.
Entrambi, data l’importanza vitale, non dovrebbero essere ridotti a mera proprietà privata, anche se storicamente ne sono stati il fondamento materiale.
Sarebbe più corretto iniziare a pensare che noi siamo il suolo come siamo l’ambiente, non potendo esistere senza di essi.

Per fare la connessione ci potrebbe aiutare anche l’etimologia delle parole, dato che la radice ‘uomo’ è la stessa di humus. Forse proprio
 l'humus, nella sua humilitas, potrebbe ridare spessore alla nostra humanitas, alla nostra ‘terrestrità’, sempre più persa in ambienti asettici e virtualità senza corpo. 

Erodendo e uccidendo il suolo, erodiamo e uccidiamo anche noi, oltre alla gran parte dei viventi - in un solo gramo più di un miliardo! - che lo popolano e lo formano.

Senza vita non esiste suolo, né su Marte né su Venere o Mercurio, in quanto questi pianeti sono retti dalle leggi glaciali e mortali dell’Universo. Soltanto la vita, fenomeno fragile ma ostinato può lottare contro queste leggi universali e imporsi nell’ambiente del suolo” (Il suolo…, p. 30).

Ecco, parteggiamo per la vita in tutta la sua diversità poiché più c'è vita più gli ecosistemi, di cui siamo parte, sono capaci di 'fronteggiare' la legge glaciale dell'universo, l’entropia.

Impegniamoci dunque nella sua difesa, perché stare dalla parte del suolo significa stare dalla nostra parte

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