MANGIARSI IL CUGINO. RECENSIONE AL LIBRO DI PASTOUREAU

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di Giulio Sapori

Provo un sentimento d'amicizia verso i maiali in generale, e li considero tra le bestie più intelligenti. Mi piacciono il temperamento e l'atteggiamento del maiale verso le altre creature, soprattutto l'uomo. Non è sospettoso o timidamente sottomesso, come i cavalli, i bovini e le pecore; né impudente e strafottente come la capra; non è ostile come l'oca, né condiscendente come il gatto; e neppure un parassita adulatorio come il cane. Il maiale ci osserva da una posizione totalmente diversa, una specie di punto di vista democratico, come se fossimo concittadini e fratelli; dà per scontato che capiamo il suo linguaggio, e, senza servilismo o insolenza, ci dimostra un cameratismo spontaneo e amabile, o un'aria cordiale” (William Henry Hudson, Il libro di un naturalista, p. 225)

Su questo nostro 'cugino', Michel Pastoureau, docente all’École des hautes études en sciences sociales della Sorbona, ha scritto un libro interessante, dal titolo Il Maiale. Storia di un cugino poco amato (Ponte alle Grazie, pp. 160).
Il punto di vista dell'autore è quello dell'antropologo e dello storico dei simboli. Il maiale è visto non tanto come animale ma come un elemento delle civiltà, in particolare della civiltà mediterranea.
I capitoli 1 e 2 sono più strettamente storici: parlano dell’addomesticamento del maiale e della storia del suo allevamento.

Il capitolo 3, invece, analizza i tabù religiosi riguardanti il maiale.
Le spiegazioni più comuni delle origini di questi tabù si concentrano sulla dimensione igenica. L'autore, invece, è di altro avviso: l'impurità, soprattutto nelle culture ebraiche e musulmane, sarebbe tale per ragioni più propriamente simboliche.
E questo è dimostrato dal fatto che, nel Levitico e nel Deuteronomio, gli animali impuri sono molti e con caratteristiche molto diverse tra loro.
Cosa li rende, dunque, impuri? La loro 'stranezza', indigeribile per la tassonomia zoologica dell'epoca. Impuri sono, cioè, tutti quegli animali inclassificabili, "senza categoria", come gli uccelli carnivori, i gamberetti, le aragoste, le anguille, animali che non seguono l'ordine naturale (es. non hanno squame e lische, nonostante vivano in acqua).
La 'stranezza' del maiale sarebbe quella di avere un'unghia bipartita, come i ruminanti, senza essere un ruminante. L'impurità non riguarda solo la sua carne, ma tutto ciò che proviene da lui (setole, pelle, sangue).
Nell'Antico Testamento è considerato l'animale impuro per antonomasia, nel Nuovo l'impurità è meno marcata, anche se rimane accostato al male. Nel Cristianesimo venne 'riscattato', un poco, da Sant'Antonio, come animale demoniaco addomesticato.
La cosa curiosa è che, nei testi agiografici che narrano le tentazioni nel deserto del Santo, non viene mai nominato il maiale: questa accoppiata fu, in sostanza, un'invenzione dell'iconografia europea medioevale.

Il capitolo 4 parla della somiglianza biologica e simbolica tra uomo e maiale. Il maiale è considerato, fino agli albori dell'epoca moderna, l'animale più simile all'uomo, insieme all'orso e alla scimmia.
La sua prossimità biologica all'uomo era già nota ai medici antichi greci e arabi. E le metamorfosi, in ambito letterario, come nel celeberrimo episodio di Circe e Ulisse, dicono, in altro modo, questa vicinanza. Ancora oggi, proprio per la sua somiglianza con noi, è l'animale più utilizzato nei trapianti d'organo e nell'estrazione di sostanze farmaceutiche.
Quindi si domanda l'autore:"Più che a ragioni igieniche, dietetiche, climatiche o totemiche, il rifiuto, che è sopravvissuto fino ai giorni nostri, non sarà forse dovuto alla parentela biologica fra l'uomo e il maiale? (...) il tabù non sarà nato quando l'uomo ha scoperto che la carne del maiale aveva lo stesso sapore di quella umana?" (p. 87). Una considerazione fatta anche da Jeffrey M. Masson, quando scrive che: “fra tutti gli animali, la loro carne è quella che più somiglia alla carne umana, cosa piuttosto sconcertante se consideriamo che oltre il quaranta percento degli animali da carne allevati nel mondo sono maiali” (Il maiale che cantava la luna, Il Saggiatore, p. 30)

Pastoureau conclude affermando che il motivo di tanti divieti è, forse, legato ad un altro tabù, quello antropofagico. In poche parole, per l'inconscio culturale, "mangiare il maiale vuol dire, suppergiù, essere cannibali" (p. 88).
Le restanti pagine del libro raccolgono alcuni articoli che riprendono più nello specifico e ripetono quello che l'autore ha scritto nei 4 capitoli.
Libro interessante.

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