OLIO DI PALMA, SERIAL KILLER ECOLOGICO

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di Giulio Sapori

Il problema dell’olio di palma non è l’olio di palma
, non sono le caratteristiche organolettiche e nutrizionali che possiede, ma a questo è stato ridotto dall'informazione di massa, anche 'scientifica'. Tutto si risolverebbe nella sfera salutista, nel "fa bene o no alla salute?", tanto da essere diventato un’internet meme su cui ridere e un alimento "politicamente scorretto" da rivendicare (il mondo, si sa, è pieno di (anti)conformisti idioti).
Se prendiamo la questione da questo punto di vista, la risolviamo in fretta: se consumato con moderazione, non fa male. 

Ma va risolta così? Non credo. Anzi, penso che questa verità corretta ma molto parziale, come spesso accade, copra il vero problema, e il motivo per cui l'olio di palma va boicottato senza indugio: essere la causa di uno tra i più gravi disastri ecologici degli ultimi anni: la distruzione, tuttora in opera, delle foreste pluviali, in Malesia e Indonesia.

E noi occidentali (Stati Uniti ed Europa) siamo massimamente responsabili perché ne siamo i maggiori consumatori, benché i consumi si stiano sempre di più diffondendo anche tra i paesi emergenti.

DEFORESTAZIONE Secondo uno studio del WWF, l'equivalente di 300 campi da calcio di foresta pluviale viene distrutto OGNI ORA per lasciare spazio alle piantagioni di olio di palma. Tra il 2000 e il 2012 l’Indonesia ha perso 6,02 milioni di ettari di foresta tropicale, a causa del mercato del legname e della palma da olio.
Cinquanta anni fa, l’82% dell’Indonesia era coperta da foreste, ma già nel 1995 la percentuale era scesa al 52%: al ritmo attuale, entro il 2020, le foreste indonesiane (tra le maggiori al mondo per estensione insieme a quelle dell’Amazzonia e del bacino del Congo) saranno definitivamente distrutte e con loro andranno perduti anche tutti quei servizi ecosistemici cruciali per la sopravvivenza delle popolazioni locali e della stessa biodiversità (fonte: WWF).
Abbiamo già perso oltre la metà delle foreste tropicali del pianeta: passate da 16 milioni di kmq a 7 milioni di kmq: quando invertiremo la tendenza?

PERDITA DI BIODIVERSITÀ Ogni anno, nel mondo, sono distrutti 100.000 kmq di foresta, con tutto il loro patrimonio di biodiversità.
Le foreste tropicali sono il bioma terrestre con la massima biodiversità: occupano il 7% della superfice terrestre e conservano il 50% della sua biodiversità.
Secondo E. O. Wilson (ecologo ed entomologo di Harvard) le azioni umane provocano l’estinzione di 35-40.000 specie ogni anno: in pratica 100 specie al giorno!
Negli ultimi 15 anni la distruzione di foresta è stata provocata prevalentemente dall’industria dell’olio di palma.

POPOLAZIONI AUTOCTONE L'olio di palma ha avuto un impatto enorme anche sui mezzi di sostentamento, la dignità e i diritti delle comunità indigene. A partire dagli anni '60 il governo indonesiano ha ceduto montagne di terre indigene a compagnie private per la coltivazione dell'olio di palma. Tribù come i Dayak Benuaq (raccoglitori-cacciatori) vedono la fonte del loro sostentamento sempre più scarseggiare a causa di queste piantagioni.

LAVORATORI L'industria dell'olio di palma è stata anche associata all'espansione degli abusi sui diritti civili, compreso il lavoro forzato e minorile.


Lo denuncia Amnesty International, in un rapporto intitolato Il grande scandalo dell'olio di palma: violazioni dei diritti umani dietro i marchi più noti.
Le nostre conclusioni dovrebbero scioccare tutti quei consumatori che pensano di fare una scelta etica acquistando prodotti in cui si dichiara l'uso di 'olio di palma sostenibile'” - ha dichiarato Meghna Abraham di Amnesty International, che ha condotto l'indagine.

GAS SERRA Le foreste tropicali, ricche di carbone e di terreno torboso, quando vengono bruciate per essere convertite in piantagioni producono un rilascio massiccio di gas serra, facendo dell'Indonesia il terzo maggior produttore di gas serra al mondo, dopo Stati Uniti e Cina.

NON TRACCIABILITÀ Nei magazzini di olio di palma, o nelle aree di coltivazione esaminate nell'inchiesta, il tasso di illegalità stimato si aggirava attorno all'80%. Questo vuol dire che molto probabilmente l'olio di palma che consumiamo quotidianamente è stato prodotto illegalmente.

ESPANSIONE
Negli ultimi 25 anni, il suo consumo è quintuplicato. E continua a crescere (raddoppierà per il 2030 e triplicherà nel 2050).
Con l’aumento della domanda mondiale e la crescita della popolazione è impossibile assicurare un olio di palma sostenibile. Attualmente le piantagioni si stanno espandendo in altre aree geografiche come il Sud-est asiatico, l’America centrale e l’Africa occidentale.
La sostenibilità serve solo tranquillizzare i consumatori, che continueranno ad acquistarli.


SOSTENIBILITÀ IMPOSSIBILE Secondo Robert Zimmerman (a capo dell’organizzazione Orangutan Outreach) un olio di palma prodotto in maniera veramente sostenibile e responsabile per l'intero pianeta ora sembra un sogno quasi impossibile. Come, infatti, può essere considerata ‘sostenibile’ una coltura che distrugge foreste tropicali in modo sistematico?

SALUTE Il prodotto finito, utilizzato nei prodotti che consumiamo, è costituito per circa il 50% da grassi saturi, che portano, se consumati in modo eccessivo, ad un aumento del rischio di malattie cardiovascolari.

OLTRE I DOLCIUMI
Secondo il rapporto Patterns of global biomass trade del marzo 2015, il 50% della produzione globale si usa nelle agroenergie, nel settore farmaceutico, nella cosmesi e nella zootecnia per i mangimi destinati agli animali.

ESTERNALITÀ L’olio di palma è l’olio vegetale più a buon mercato, anche perché “i costi esterni” non vengono caricati sul prodotto (salute, morte di animali, impoverimento della biodiversità, emissione dei gas serra). Se la società umana desse più valore a queste cose, il prezzo salirebbe moltissimo.

C’è, però, anche chi non è convinto e ribatte: “È vero che loro disboscano ma anche noi lo abbiamo fatto e dovremmo farlo nuovamente se lo volessimo sostituire”. Quindi? Lasciamoli disboscare in pace, come loro hanno lasciato in pace noi? Questo è un classico pensiero a imbuto, per cui non si pensa il motivo del disboscamento, ma solo a come poter reperire lo stesso quantitativo di prodotto in piante diverse, non mettendo in questioni le sacre merci, i sacri biscottini commerciali, ritenuti insostituibili e necessari, molto più della foresta pluviale!
Chi dice una tale fesseria, poi, sembra non sapere che i consumatori maggiori di olio di palma siamo noi occidentali (America ed Europa), e quindi siamo sempre noi, indirettamente, a disboscare quelle zone.

Altro argomento che spesso viene fuori è: “l’olio di palma rende più per ettaro, quindi è più ecologico perché occupa meno terreno”: un’argomentazione tipica del ‘saputo’, del ‘tecnico’, che si crede oggettivo e privo di ideologie. E noi non possiamo che dargli ragione: è vero, l’olio di palma produce più, per ettaro, di tutti gli altri oli vegetali. Ma, amico 'tecnico', che significa? che è migliore? che si disboscherà meno? Ovviamente no. Infatti, se si rimane all'interno della scivolosa logica di mercato, si può continuare a disboscare, fottendosene delle foreste, dell’inquinamento, degli animali, delle persone. Non è l’efficienza produttiva che frenerà il disastro ecologico, ma una visione che critichi proprio quella logica produttivistica, priva di limiti.

In sintesi, la contrapposizione da affrontare è tra capitale e natura
, non tra diversi tipi di olio: se pensiamo da capitalisti, l'olio di palma è ottimo, come resa e costi bassi, ma se pensiamo da uomini, animali tra gli altri animali, la prospettiva si ribalta. In questa diversa prospettiva le foreste non si concepirebbero più come una semplice risorsa da sfruttare, ma come un organismo vivente, composto dalle interazioni e dagli scambi tra piante, animali, funghi, batteri, piogge, vento, sole. Tutto sta nel capire se preferiamo essere uomini o caporali, per dirla con Totò, parte del mondo o suoi proprietari.
Boicottare l’olio di palma è un passo verso la partecipazione non padronale al mondo. Per questo motivo è un gesto, anche se limitato, di libertà, poiché aumenta la libertà di tutti, dei nativi, dell’orango, della tigre di Sumatra, del rinoceronte, dell'elefante, dei migliaia di uccelli, dei milioni di insetti, delle piante - la libertà basilare di vivere.

Come ho scritto all’inizio, il problema dell’olio di palma non è l’olio di palma: non è il prodotto finito, chiuso in sé, impacchettato, ma la sua genesi produttiva: deforestazione, inquinamento, massacro di animali, sfruttamento del lavoro. Quest’attenzione critica, quindi, non dovrebbe fermarsi all'olio di palma, ma dovrebbe attivarsi, almeno un minimo, ogni volta che si acquista qualcosa. Soprattutto se quel qualcosa viene da lontano, come da aree tropicali (Amazzonia, Indonesia, Borneo).
Comprare una cosa piuttosto che un’altra, infatti, a noi non costa nulla, ma a milioni di individui che vivono, per esempio, nelle foreste, potrebbe costare moltissimo, come finire bruciati vivi.
Non si tratta, quindi, di demonizzare un prodotto (com’è stato, spesso, scritto) ma di capire che lì, per tantissimi viventi, c'è veramente un inferno. Noi possiamo decidere se continuare ad aizzarne la fiamma o iniziare a fare qualcosa per spegnerla.

Per finire, consiglierei la visione del bel documentario di

Patrick Rouxel, Green:

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