QUANDO I COMUNISTI SI APRIRANNO ALL'ANTISPECISMO?

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di Giulio Sapori

"Mentre parlavamo di libertà e giustizia in un giorno qualsiasi, siamo sprofondati nelle bistecche. Sto mangiando miseria, ho pensato, mentre prendevo il primo morso. E lo sputai." (Alice Walzer)


Qualche giorno fa, nel programma di La7 L’aria d’estate, chiamato a commentare il programma della neosindaca di Torino Chiara Appendino,
Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista, alla domanda del presentatore sulla proposta di quest’ultima riguardante la promozione di una dieta vegana e vegetariana “per la salute, gli animali e l’ambiente”, rispondeva raccontando di un episodio, a cui aveva assistito, di protesta davanti ad un circo: esempio, per lui, di “fanatismo dentro la frammentazione sociale” che “nasconde il Vero Grande Problema, cioè la disparità tra ricchi e poveri, il conflitto tra capitale e lavoro”. Poi sulla dieta vegana, ponendola come analogo ad un gusto sessuale, dice “Se te vuoi 'farlo' in cantina, a me piace 'farlo' sul lampadario, che problema c'è? Ognuno faccia quello che vuole”.

In questo post vorrei tentare di argomentare sul perché Rizzo e molti militanti comunisti (non tutti, ovviamente) sbagliano nel non considerare lo sfruttamento animale non solo come negativo, ma nanche come fenomeno sociale che permette di capire meglio lo sfruttamento dell'uomo sull'altro uomo: se c'è frammentazione è anche a causa di partiti che non 'allargano' la propria visuale.

Prima di tutto occorre dire che criticare lo sfruttamento dell'animale umano sugli altri animali è un vero e proprio scandalo per l'ordine capitalista, basato su la reificazione e sfruttamento del vivente, uno scandalo anche più grande - molti sobbalzeranno -  dell'essere comunista, soprattutto nella componente statalista filosovietica.
Pensare che la finalità del pensiero animalista e antispecista sia il cambiamento di menù, si fermi alla soia al posto della carne, è tremendamente distraente rispetto alla domanda di giustizia, e di sovvertimento dei rapporti di forza, che esso porta con sé.


A livello sociale, l'appiattimento del veganismo al modo di mangiare è molto diffusa, non solo tra la gente comune, ma anche tra il ceto 'intellettuale', a causa di una forma mentis che, come l’informazione mass-mediatica, è tollerante e liberale finché si parla di gusti e consumi diversi, ma diventa persecutoria quando il discorso si allarga alla messa in questione di forme di sfruttamento sociale molto radicate (come quella dei corpi animali).

I comunisti “mangia bambini” dovrebbero saperlo. Ma, forse, non vedono nulla oltre il cibo o la protesta davanti ad un circo perché, nella loro visione del mondo, l’animale non umano è cosa tra le cose, da cui l'uomo è separato e che quest'ultimo può utilizzare secondo le sue volontà.

Nella visione comunista non c'è posto per l'animalità. Per loro il mondo è diviso tra ‘ricchi’ e ‘poveri’, borghesi e proletari. Categorie, per buona parte, difficili da definire ma che indicano comunque qualcosa di reale, una disparità. Infatti in una società dov’è il denaro a farti vivere, non averlo, o averne poco, significa meno possibilità di vita, meno libertà.

Si tratta quindi di un vero problema ma l’aspetto negativo è che, per molti militanti comunisti, oltre questa polarità conflittuale non vi è nulla di importante.
Il resto del vivente semplicemente è ridotto a sfondo, a risorsa da sfruttare.
Quando i comunisti si richiamano all’ambiente lo fanno solo per dire che il sistema capitalistico lo sta consumando troppo velocemente e a favore di una classe privilegiata, percependolo soltanto come una cosa altra da noi che dobbiamo amministrare. Il socialismo è 'più ambientalista' del capitalismo perché lo amministrerebbe meglio e lo sfrutterebbe a favore della maggioranza. L'ambiente è sempre inteso in termini antropocentrici e industrialistici: fondo di risorse da razionalizzare.

Quello che Rizzo, come molti (tra cui Diego Fusaro), non capisce e non vuole capire, è che il conflitto tra “vegani e carnivori”, tanto caro alla televisione, nasconde un vero conflitto tra umanità e resto del vivente, tra carnefici e oppressi, il quale più che conflitto si potrebbe descrivere, data la disparità di forze, come un enorme sterminio quotidiano legalizzato.
È possibile che i “rapporti di forza” presenti in questo mondo si riducano ad uno, a quello tra uomini ricchi e uomini poveri? Non è un po' troppo riduzionistico?

Quello che  molti materialisti, atei, comunisti non vedono è che l’animalismo, in particolare l’antispecismo, offre una nuova prospettiva al problema del dominio ed è il primo serio tentativo di superamento dell'idealistica separazione uomo-animale, dove il primo è posto come dominus del secondo.
Schiavismo, sessismo, classismo e razzismo sono legati a questa logica, a questo processo-dispositivo simbolico, di bestializzazione del diverso.
La riflessione antispecista è quindi importante per indagare anche la genesi dello sfruttamento tra umani.

L’uomo è un animale tra gli altri, ma esso viene educato a dimenticare di esserlo, a obliterare il corpo e la sua vulnerabilità, diventando così persona, entità simbolica all’interno dell’ordine simbolico.

La prima alienazione è proprio questa: ogni nuovo nato verrà tradotto in significante (nome, status, religione, nazionalità, ecc.) all’interno della catena dei significanti sociali, nella quale la concettualizzazione dell’animale e del naturale, in opposizione all’umano e al civile, ha una posizione preminente.
L’educazione sarà primariamente questa grande opera di traduzione del reale in parole, della Terra, ritenuta amorfa e selvaggia, in Mondo ordinato e civile.
Questa organizzazione di senso ha un'effettività materiale, una 'materialità', che determina altri significati: vi è un circolo ricorsivo tra struttura, l'ordine di senso forte, istituzionalizzato (socio-economico), e sovrastruttura, l'ordine di senso più plastico (multiformità della cultura): l'uno richiama l'altro.

La primaria alienazione dalla corporeità-animalità non è considerata problematica dai comunisti, casomai è valutata positivamente, come superiorità dell'animale umano rispetto al resto del mondo vivente.
Nella rappresentazione del mondo comunista, all'interno della struttura materiale di senso chiamata da Marx 'Capitale', si fronteggiano due classi: borghese e proletaria. Classi, non individui. È una precisazione importante. Uno dei punti fermi del discorso infatti è che non esiste un capitalista buono e uno cattivo, poiché è il sistema, la struttura di senso capitalista, che ha dei problemi: sono i rapporti di forza che sono ingiusti, è la legge del profitto che porta necessariamente all’iniquità e all’ingiustizia sociale. I singoli, davanti a questo apparato, possono fare ben poco. Solo se prendono coscienza dell’ingiustizia del sistema e si organizzano in classe, possono diventare una forza storica e così modificare, capovolgendoli, i rapporti di forza.
La finalità di tutto ciò sarebbe, dopo un primo periodo di dittatura della maggioranza sulla minoranza (socialismo), l’edificazione del comunismo: una società composta da individui liberi e uguali

Un programma che merita di essere considerato seriamente, poiché ha come interesse quello di modificare il sistema presente, complessivamente ingiusto e distruttivo. Ma come modificarlo?
 
Non intendo rispondere a questa domanda impegnativa, e ritengo che molte proposte dei comunisti siano ben pensate. Qui vorrei avanzare due critiche, costruttive, alla prospettiva di molti militanti comunisti.
La prima critica riguarda la chiusura dell’analisi sociale, solitamente, ad un orizzonte storicista di due-trecento anni, cioè l'intervallo di tempo che va dalla Rivoluzione industriale ad oggi.
Il tempo biologico, nel quale viviamo in quanto viventi, non è minimamente contemplato. Cos'è questo tempo? E' quello dei cicli naturali, che da milioni di anni sostengono la vita (e quindi anche noi!), mantenendo al minimo l'entropia.
Le attività umane, dalla rivoluzione neolitica in poi (raggiungendo livelli estremi con l'industrializzazione), hanno causato un aumento fortissimo di entropia, cioè di degradazione dell'energia, fondamentale al mantenimento degli equilibri vitali. Diminuire l'entropia delle nostre attività è un problema urgente, ma che non ho mai sentito nei discorsi dei comunisti.

La seconda critica, invece, riguarda il necessario ripensamento del nostro rapporto con l'animalità, considerando che la sottomissione dell'animale, come abbiamo detto sopra, è centrale nella costruzione dei rapporti di dominio. Occorre una nuova antropologia materialista dove l'essere-animale, l'esser corpo, emozione, sentimento, sia basilare, e non mera entità da sussumere e addomesticare idealmente. Recuperare l'animalità significa anche uscire dalla passione scientista, dalla fede nel progresso, nelle tecnologie salvifiche e nell'industria (soprattutto pesante). E' inutile elogiare Darwin se poi non traiamo nessuna conseguenza etica e politica dalla scoperta della fratellanza tra tutte le creature viventi. Ci vorrebbe, per finire, più passione per la vita e per i vivi (in una parola: biofilia) e meno per la morte e i morti (necrofilia).
 

Quello che sto cercando di dire caro compagno è, in sintesi, che se si vuole capire un po' più il mondo per poi cambiarlo, un materialista non può non interessarsi al tempo biologico, il ‘tempo lungo’ della vita, poiché è la dimensione temporale che può aiutarci a capire il percorso che ha condotto un animale tra gli altri, a diventare, in un tempo molto breve, superentropico: vettore di sfruttamento, massacro, estinzione ed ecocidio; e non può non interessarsi a l'animale che lui stesso è, ma da cui si è separato tramite quel 'dispositivo antropogenetico' (Giorgio Agamben) che ha staccato l'animale umano da sé e dal resto del mondo vivente.
Sarebbe ora di pensare seriamente queste fratture ontologiche, per iniziare a sanarle. 

La maggioranza dei benemeriti militanti comunisti lotta per l’abolizione del capitalismo, non accorgendosi minimamente che il capitalismo è un sintomo di un certo posizionamento, assunto dall’animale umano, di sfruttatore del mondo vivente. Un posizionamento che dovrebbe essere messo in questione se si vuole cambiare realmente il dispositivo di sfruttamento.


Uno dei meriti del pensiero comunista sta nell'averci mostrato che il dominio dell'uomo sull'altro uomo non è naturale e necessario, ma una conformazione storica che può essere mutata. Allora mi chiedo: perché il dominio dell'uomo sull'altro uomo è ingiusto, mentre quello dell'uomo sugli altri animali no? Perché l'operaio del mattatoio è ingiusto che venga licenziato su due piedi, mentre è giusta la macellazione dell'animale? Non è il caso di allungare la visuale, oltre il lavoratore, guardando negli occhi e ascoltando le urla del lavorato?
Qualcuno forse dirà che il comunismo non è una questione di giustizia ma di razionalità: il capitalismo è logicamente sbagliato: ha delle contraddizioni insanabili. Allora, se non c'è ingiustizia, aspettiamo: perché combatterlo?

Ma, poi, cosa c'è di più contraddittorio del concetto di animale, di ambiente, di natura? Sono tutte cose che "siamo e non siamo", a cui apparteniamo ma sentendoci estranei. Quand'è che ci interesseremo di queste contraddizioni?
Gli effetti della schizofrenia attuale sono pessimi poiché dominare l'animale, la natura, l'ambiente, significa sempre anche subire questo stesso dominio, che va ad inspessire le mura di quel "carcere dell'umanità", sempre meno vivo, nel quale siamo rinchiusi e di cui ha parlato l'antropologo Claude Lévi-Strauss.

La storia del dominio è la storia della sottomissione del naturale al culturale. Una storia 'giovanissima', nella storia complessiva dell'animale umano, quindi ampiamente modificabile

Il tutto sta nel decidere se ad interessarci è il rendere inoperoso questo violento dispositivo che porta schizofrenia, entropia e ingiustizia sugli uomini e sterminio sul resto del vivente, oppure semplicemente prendere il potere.

Per concludere vorrei citare una delle bellissime lettere che la grande rivoluzionaria comunista Rosa Luxemburg scrisse, dal carcere, a
Sophie Liebknecht, moglie di Karl, nel maggio del 1917. Lettere la cui ereticità, mostrata nel sentimento di fratellanza ed empatia oltre i confini di specie, ha impedito che venissero comprese da molti compagni comunisti, infarciti di positivismo meccanicista ultraborghese:

"
Qualche volta ho la sensazione di non essere un vero e proprio essere umano, ma appunto qualche uccello o un altro animale in forma di uomo; nel mio intimo mi sento molto più a casa mia in un pezzetto di giardino come qui, oppure in un campo tra i calabroni e l'erba, che non... a un congresso di partito. A lei posso dire tutto ciò: non fiuterà subito il tradimento del socialismo. Lei lo sa, nonostante tutto io spero di morire sulla breccia: in una battaglia di strada o in carcere. Ma nella parte più intima, appartengo più alle mie cinciallegre che ai "compagni". E non perché nella natura io trovi, come tanti politici intimamente falliti, un rifugio, un riposo. Al contrario, anche nella natura trovo ad ogni passo tanta crudeltà, che ne soffro molto".

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