SCIENZA E SENTIMENTO. UNA CRITICA A PASCALE

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di Giulio Sapori

Antonio Pascale
, conosciuto come scrittore di romanzi e articoli (pubblica, tra l’altro, nel Domenicale del Sole 24 Ore), di formazione è agronomo. E, in questo pamphlet, mescola le sue competenze a sostegno di un’agricoltura industriale e favorevole agli ogm. L’autore è "uno di noi", un uomo tra gli altri, che, a partire dalla sua esperienza sul campo, sostiene l'agricoltura industriale. 

È un libro che ho qualche difficoltà a recensire poiché fa passare l’idea, molto diffusa tra i divulgatori scientifici, di una contrapposizione, nella problematica riguardante gli ogm, tra intellettuali “puri”, sentimentali (esempio principe: Pietro Citati) e intellettuali “impuri”, razionali (l’autore); tra ambientalisti consumatori radical-chic, distanti dai campi e scienziati-contadini veraci, produttori di cibo; insomma tra scienza e sentimento.

Questa contrapposizione è, a mio avviso, un esempio, tra i più diffusi, di populismo scientifico, esperibile sui giornali e nei Festival che trattano argomenti scientifici.
L'arma retorica, nonché fallacia argomentativa, più utilizzata da molti 'divulgatori scientifici' è quella conosciuta come strawman fallacy: si crea uno straw man (un uomo di paglia, un fantoccio) e si mostra criticamente la sua ingenuità, facendolo passare come ‘tipo ideale’ del fronte a cui ci si vuole contrapporre. Una partita truccata, in cui si forgia l’avversario all’uopo.

Una fallacia in cui, se non si fa attenzione, è molto semplice cadere, ma che stona abbastanza nel discorso quando a farla sono i paladini della razionalità e della scienza (per dirne alcuni: Silvia Bencivelli, Dario Bressanini, Gilberto Corbellini, Andrea Grignolio, ma anche Telmo Pievani): gran custodi del moderatismo e della religione del progresso che bollano come estremisti, sentimentali, conservatori, tutti coloro che avanzano delle perplessità sull’agire scientifico e i suoi prodotti.

Un paradosso abbastanza stridente è, poi, quello di sponsorizzare la scienza come lotta eroica e solitaria contro l’oscurantismo: lo scienziato come “eroe moderno antipolitico e antisociale”, per citare Pascale, che “non riesce a capire il proprio posto nel mondo”, mix tra l’audace e solitario principe Andrej Bolkonskij, uno dei personaggi principali del romanzo Guerra e pace di Lev Tolstoj e Henry Cavendish, chimico e fisico scozzese, famoso per la sua natura timida e riservata. Magari fosse così! Ma questa immagine romantica, o meglio: ‘sentimentale’, poco ha a che fare con la figura dello scienziato contemporaneo, impiegato di un super-apparato economico, di cui lui stesso poco sa.

Anche l’immagine della scienza proposta da Pascale è alquanto ingenua. I suoi pilastri sarebbero: rifiuto del principio di autorità, studio fenomenico della natura, abbandono cause occulte, importanza della quantità e fede nella semplicità.
Quello di Pascale è puro idealismo: i pilastri sono altri: spostamento del principio di autorità (dai testi sacri ai ‘fatti’ sperimentali; dal papa agli scienziati); studio manipolativo della natura; disinteresse per lo sperimentalmente inspiegabile; importanza per ciò che si può controllare con la strumentazione; fede nelle semplicità che travasa in ideologia riduzionista.

Per sintetizzare, il succo del pensiero di Pascale sulla tematica ogm, rintracciabile anche in molti altri divulgatori scientifici, è:
1) L’uomo ha, da sempre, modificato la Natura: la totalità dei prodotti nelle nostre tavole è stato modificato dall’uomo. Molti prodotti ‘tipici’ non lo sono realmente (il pomodoro ‘Pachino’ è nato in Israele).
2) La Natura non è sempre buona e bella: la chimica artificiale può essere meno pericolosa di quella naturale.
3) L’agricoltura intensiva necessita di meno terra, quindi fa meglio alla Natura.
4) Le sementi, ogm o meno, sono, per buona parte, nelle mani delle multinazionali (pochi agricoltori si scambiano o conservano i semi), facciamocene una ragione.

Va bene che oggi mangiamo cose da noi modificate; va bene che Eva, nel giardino delle delizie, non poteva mangiare una mela Fuji; va bene che la Natura non è sempre accogliente, ma occorre proprio perseverare nel modello industriale, di guerra chimica a tutto ciò che non è immediatamente utile all’uomo? Continuare a sostenenere il processo di monopolizzazione del cibo? Davvero non c’è altra via?
La visione dell’autore è assoggettata alla religione del progresso: occorre andare avanti nella guerra contro la Natura. Produrre di più, diserbare di più, per ‘rispettare’ l’ambiente e sfamare tutti. L’agricoltura industriale è l’unica percorribile. Veramente è così?
  
Pascale (ma non solo lui) è populista poiché non compie, minimamente, un’autocritica. Autocritica intesa come critica all'agire umano, critica a ciò che questo agire sta causando all’ecosistema terrestre. Questo, a mio parere, è un punto decisivo.
La situazione dell’ambiente è, infatti, drammatica; pensiamo, per esempio, al territorio che patisce un deterioramento causato da: “cambiamento climatico, contaminazione chimica e biologica, alterazione fisica, frammentazione degli habitat, introduzione di specie alloctone, dissesto idrogeologico, cementificazione, produzione eccessiva di rifiuti, distruzione delle foreste, sovrasfruttamento e diversione dei corsi d'acqua, così come dall'abuso delle pratiche venatorie, e molto altro ancora: tutti sintomi di una Terra malata a causa del sempre più potente impatto tecnologico dell'uomo” (Carlo Modonesi, ecologo).

Perché non si inizia a guardare un po' criticamente a questa tecnologia? Perché continuiamo a ripetere che i danni tecnologici vanno risolti tecnologicamente? Non è che vi sia troppa fiducia nella tecnologia umana?

Nessun accenno, nel libro, alla sovrappopolazione umana, agli allevamenti di animali, all’inquinamento fossile, allo spreco di acqua: niente di tutto ciò. Problematiche che servirebbero a disegnare la situazione in cui ci troviamo, per poi cercare soluzioni a questi problemi enormi, che possiamo sintetizzare nel problema di come limitare l’impatto umano sull’ecosistema.
Pascale, invece, utilizza proprio quella “tecnica del riflettore” (Erich Auerbach), da lui stesso evocata, che del tutto illumina solo una parte, forse vera ma astratta, oscurando il resto.

Infatti, a parte la giusta precauzione di molti scienziati riguardante l’inserimento di piante ogm nell’ecosistema, il problema di fondo rimane il tipo di società che potrà sostenere un’umanità, non separata dal resto del vivente, nel futuro. Un problema serio al cui interno prende senso la questione degli ogm, ma che i tanti intellettuali pro-Ogm non considerano minimamente.  

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