Ho deciso di diventare vegetariano esclusivamente per ragioni etiche. Non volevo essere parte della catena di inumani trattamenti che macellano la senzienza e caratterizzano gli allevamenti intesivi di individui, dai bovini ai maiali ai polli ai pesci alle aragoste. Uno dei miei colleghi dice che la questione principale che motiva la gente dell’industria è “Quanti polli riesci a mettere in una gabbia con la vaselina ed un calzante?”. Un giorno, decisi che dovevo cominciare a praticare ciò che pensavo. Realizzai che non potevo sopportare ancora per molto l’uccisione di alcun animale semplicemente perché questo potesse essere mangiato, a prescindere da quanto fosse umano il procedimento. In realtà è stata una decisione facile, e non ho cambiato di un pizzico il mio stile di vita o la mia passione per il ciclismo. Infatti, questa cosa mi fece subito sentire meglio.
Molte persone sono in profonda contraddizione rispetto al cibo che
mangiano. Ciò che mangiamo, come viene prodotto, come viene trattato, da dove
viene, chi ne trae guadagno, da che viene sfruttato: c’è un’ampia varietà di
affari da considerare, e gli individui devono decidere da soli su ciò che è più
salutare per il loro corpo e la loro anima. Alcuni si considerano vegetariani,
anche se non sono rigorosi: possono continuare a mangiare pesce e in alcune
occasioni carne (ad esempio, in un pasto di un giorno speciale), o limitarsi
agli “animali senza faccia”. Ad esempio, qualcuno può essere disponibile a
mangiare la capesante o le cozze perché non hanno un volto e perché credono che
non siano senzienti (in grado di provare sentimenti, emozioni) e non soffrano.
Questo può essere o non essere vero, ma accade perché qualcuno traccia da sé la
linea. Piuttosto che vegetariane, queste persone sono ciò che Peter Singer e
Jim Mason chiamano “onnivori coscienziosi” nel loro libro
Come mangiamo: le conseguenze etiche delle
nostre scelte alimentari (Il Saggiatore 2011).
Questioni etiche a parte, ci sono molte ragioni per considerare di optare
per l’economia del pasto. Una delle principali è l’ambiente. I lotti di
finissaggio ed i mattatoi delle aziende di allevamento sono responsabili di un
enorme degrado ambientale. Secondo Lucas Reijinders e Sam Soret, paragonata
alla produzione di soia, la produzione di carne richiede più campi (da 6 a 17
volte di più), più acqua (da 4,4 a 26 volte di più), più combustibili fossili
(da 6 a 20 volte) e biocidi (nei trattamenti vengono usate quantità 6 volte
superiori di pesticidi ed agenti chimici).
Anche se suona divertente, i bovini sono anche una considerevole fonte di
produzione di metano. Citando James Bartholomew: “un singolo bovino da latte,
tramite eruttazione e flatulenza, produce 114 kg di metano. Il metano è
decisamente più letale per l’effetto serra…del diossido di carbonio. E’ 23
volte più potente, sebbene non resti tanto a lungo nell’atmosfera. Il metano
prodotto da un singolo bovino è equivalente a 2.622 kg di diossido di
carbonio”. Inoltre, secondo Philip Fradkin, l’alimentazione del bestiame resta
la causa principale del calo di acqua negli Stati Uniti occidentali.
Se prendo atto che, a dispetto di quanto spero, il nostro non è un mondo
pronto a diventare vegetariano, se mai lo sarà, non posso capire però perché
sostenerlo sia considerato “radicale”. E’ radicale riconoscere che gli animali
hanno emozioni e conceder loro di provare delle passioni? Io ritengo che un
mondo vegetariano sia un mondo più compassionevole. Tuttavia, non è importante
cosa decidiamo di essere o come decidiamo di chiamarci, fintanto che siamo
“coscienziosi”, fintanto che saremo scrupolosi nel soppesare il nostro modo di
scegliere il nutrimento - fintanto che mangeremo attentamente, come dice Jane
Goodall – allora sicuramente potremo diminuire il deliberato dolore che
provochiamo ai miliardi di animali senzienti.
Marc
Bekoff, Le
vita emozionale degli animali. Un
grande scienziato moderno esamina negli animali l'empatia, la gioia e il dolore
e perché sono importanti, Oasi Alberto Perdisa 2010
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