Riportiamo l'articolo La nostra assurda guerra contro la natura di George Monbiot, The Guardian, riportato da Internazionale 17/23 Ottobre 2014 - Numero 1073.
I consumi stanno distruggendo un mondo infinitamente più affascinante e complesso dei beni che produciamo. Perché? non ce ne rendiamo conto?
Siamo arrivati al punto in cui
chiunque sia capace di riflettere dovrebbe fermarsi e chiedersi cosa stiamo
facendo. Se neanche la notizia che negli ultimi quarant’anni
il mondo ha perso oltre la metà dei vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili,
anfibi e pesci) può farci capire che il nostro stile di
vita è sbagliato, è difficile immaginare cosa potrebbe riuscirci. Chi può credere che
un sistema sociale ed economico con questi effetti sia sano? Chi di fronte
a una perdita del genere può definirlo progresso?
Per onestà va detto che l’era moderna è solo
la prosecuzione di una tendenza che dura da due milioni di anni. La perdita
di gran parte della megafauna africana sembra aver coinciso con il passaggio
all’alimentazione carnivora compiuto dagli antenati degli esseri umani. Via via che abbiamo
popolato gli altri continenti, anche la loro megafauna è scomparsa quasi
subito. La datazione forse più affidabile dell’arrivo degli esseri umani in
un luogo è proprio l’improvvisa scomparsa dei grandi animali. Da allora ci
siamo addentrati nella catena alimentare eliminando i nostri predatori più
piccoli, gli erbivori di medie dimensioni e adesso, con la distruzione dell’habitat
e la caccia, stiamo cancellando la flora e la fauna di ogni tipo.
Una crescita per pochi
Tuttavia, la velocità distruttiva di oggi è inedita. Supera perfino quella del primo popolamento delle Americhe, 14mila anni fa, quando in poche decine di generazioni l’ecologia di un intero emisfero fu trasformata da una violenta estinzione che colpì numerose grandi specie vertebrate.
Una crescita per pochi
Tuttavia, la velocità distruttiva di oggi è inedita. Supera perfino quella del primo popolamento delle Americhe, 14mila anni fa, quando in poche decine di generazioni l’ecologia di un intero emisfero fu trasformata da una violenta estinzione che colpì numerose grandi specie vertebrate.
Per molti la colpa è dell’aumento della
popolazione umana e non c’è dubbio che questo abbia contribuito. Ma ci sono
altri due fattori determinanti: la crescita dei
consumi e
l’amplificazione dovuta alla tecnologia. Ogni anno si creano nuovi
pesticidi, nuove tecniche di pesca, di estrazione mineraria e di lavorazione
degli alberi. Abbiamo
dichiarato guerra alla natura, una guerra che diventa sempre più asimmetrica. Perché
siamo in guerra? Gran parte dei consumi dei paesi ricchi, che con le
importazioni sono tra i primi responsabili di questa distruzione, non ha niente
a che fare con i bisogni umani.
Quello che mi colpisce di più è proprio la sproporzione tra le perdite e i guadagni: la crescita economica di un paese i cui bisogni primari e secondari sono stati già soddisfatti equivale alla creazione di cose sempre più inutili per soddisfare desideri sempre più vaghi. Una delle caratteristiche della recente crescita nel mondo ricco è il numero esiguo di persone che ne ricavano un vantaggio. Quasi tutti i guadagni finiscono nelle mani di pochi: secondo uno studio del 2012 dell’Università di Berkeley, negli Stati Uniti l’1 per cento più ricco intercetta il 93 per cento dell’aumento dei profitti prodotto dalla crescita. Perfino con tassi di crescita del due, tre per cento o superiori, le condizioni di lavoro della stragrande maggioranza della gente continuano a peggiorare. Le ore lavorative aumentano, gli stipendi ristagnano o diminuiscono, le mansioni diventano sempre più monotone, stressanti o difficili, i servizi peggiorano, gli alloggi sono quasi inaccessibili e ci sono sempre meno soldi per i servizi pubblici essenziali. A cosa e a chi serve questa crescita?
Serve a chi gestisce o possiede
banche, società minerarie, aziende pubblicitarie, società di lobbying,
fabbriche di armi, immobili, terreni, conti offshore. Noi siamo indotti a
ritenerla necessaria e auspicabile da un sistema di
marketing e d’influenza selettiva talmente intensivo e dilagante da
riuscire a farci
un lavaggio del cervello.
Così la grande erosione globale avanza consumando la Terra, cancellando tutto ciò che di più singolare e peculiare esista, sia nella cultura umana sia in natura, riducendoci ad automi rimpiazzabili in una forza lavoro globale omogenea, trasformando inesorabilmente le ricchezze del mondo naturale in un’anonima monocoltura. Non è il momento di dire basta? Non è ora di usare le straordinarie conoscenze e competenze accumulate per cambiare il modo di organizzarci, per contestare e rovesciare le tendenze che hanno determinato il nostro rapporto con il pianeta negli ultimi due milioni di anni e adesso distruggono ciò che resta a una velocità sorprendente? Non è il momento di mettere in discussione l’ineluttabilità della crescita infinita su un pianeta finito? Se non ora, quando?
Così la grande erosione globale avanza consumando la Terra, cancellando tutto ciò che di più singolare e peculiare esista, sia nella cultura umana sia in natura, riducendoci ad automi rimpiazzabili in una forza lavoro globale omogenea, trasformando inesorabilmente le ricchezze del mondo naturale in un’anonima monocoltura. Non è il momento di dire basta? Non è ora di usare le straordinarie conoscenze e competenze accumulate per cambiare il modo di organizzarci, per contestare e rovesciare le tendenze che hanno determinato il nostro rapporto con il pianeta negli ultimi due milioni di anni e adesso distruggono ciò che resta a una velocità sorprendente? Non è il momento di mettere in discussione l’ineluttabilità della crescita infinita su un pianeta finito? Se non ora, quando?
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