LA CULTURA COME SOSTANZA NARCOTICA (FRANCESCO PANARO)

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La cultura, o fatto culturale, è l’aria, il liquido, il terreno o medium di coltura, è il reticolo da cui filtrano gli elementi ideologici significanti. Sono essi stessi l’ideologia. È qui che tutto avviene. Il congegno che muove tutto non si mostra, non si fa interrogare, anzi non deve essere interrogato, finge di fare come la rosa del distico di Angelus Silesius, che «è senza perché; fiorisce perché fiorisce, a se stessa non bada, che tu la guardi non chiede».

La cultura è la sostanza narcotica in cui il mondo vive immerso e di cui si nutre, che beve inconsapevole, che respira e dalla quale si fa porre i limiti del suo agire. È possibile che la conoscenza, sviluppata in queste condizioni, costruita con lo studio e l’esercizio o appresa involontariamente per vita vissuta, possa mostrare gli stessi difetti e caratteristiche: dal punto di vista sociale e individuale il comportamento di un laureato e di un individuo che ha compiuto solo gli studi di base, escluse irrisorie differenze di metodo, è pressoché identico. La maggior parte delle possibili differenze che vedono la luce nascono già condizionate.

Lo scrittore e saggista David Foster Wallace nel discorso di conferimento delle lauree tenuto al Kenyon College racconta di due giovani pesci che fluendo nell’acqua incontrano un pesce più anziano che viene nel senso contrario. Con un breve cenno di saluto, quello anziano chiede: «Salve ragazzi, com’è l’acqua?». I due pesciolini, che hanno ascoltato la domanda, continuano a nuotare e a un certo punto l’uno guarda l’altro e chiede: «Che diavolo è l’acqua?»


(Francesco Panaro, Contro la cultura. Esseri e universi ben invisibili, Mimesis 2015)

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