di Marta Frana
La risposta alla domanda del
titolo traspare fin dalle prime pagine: gli OGM assecondano solo gli
interessi di profitto delle multinazionali dell’agroalimentare.
Jacques Testart, direttore di ricerca
onorario presso l’Istituto Nazionale della Sanità e della Ricerca Medica
(I.n.s.e.r.m.), trattando in particolare delle PGM (piante geneticamente
modificate, sottogruppo della macro categoria degli OGM), rivela in termini
semplici ma efficaci come esse non abbiano mostrato alcuna utilità alla vita
della popolazione che ne fa uso né agli agricoltori che le seminano (questi
ultimi, in particolare, hanno visto il prezzo delle sementi OGM di soia
aumentare del 230% fra il 2000 e il 2010). Inoltre l’elenco dei miracolosi
benefici delle PGM, cui le lobby ricorrono per ingraziarsi l’opinione pubblica,
è in realtà rimasto su carta: le piante modificate non hanno una resa
maggiore né bloccano l’assorbimento dei metalli pesanti del terreno. Al
contrario, dopo quasi vent’anni dalla prima coltivazione PGM negli Stati Uniti,
si può riscontrare un dato negativo per l’ambiente: l’uso di diserbanti in
questo Paese è aumentato di 239.000 tonnellate! In aggiunta a questo, pare
che nessuno si sia ancora interessato a sondare le conseguenze, al momento
imprevedibili, dell’interazione fra PGM e gli altri esseri viventi.
Politicamente più urgente è però
l’altro problema sottolineato dal biologo francese: il sistema di valutazione
della sicurezza alimentare delle PGM è interamente delegato alle stesse
multinazionali produttrici; in altre parole, il controllato controlla il
controllore. Quanto sia pervasivo il potere delle grandi aziende biotech lo
testimonia l’affaire Séralini, ovvero un esperimento condotto in
segreto da un gruppo di ricercatori francesi dell’Università di Caen coordinati
da G. E. Séralini. Grazie alla complicità di una scuola agraria canadese che ha
fornito le sementi PGM, i ricercatori sono riusciti a valutarne l’assorbimento
nei ratti lungo tutta la durata della loro vita (due anni); i risultati mostrarono
un’incidenza maggiore di tumori e malattie al fegato e reni. Testart non
nasconde che, a causa della segretezza e delle scarse finanze a disposizione,
l’esperimento sia imperfetto, ma sottolinea come il protocollo seguito sia
comunque più completo rispetto a quello attuato dalle stesse multinazionali
quando devono dimostrare l’accettabilità delle PGM alle autorità competenti.
Insomma, «una rivelazione indiscutibile dell’affaire Séralini, i cui
risultati contestati sono stati ottenuti grazie a prove mai effettuate prima, è
che tutte le PGM autorizzate dalla Commissione Europea in seguito agli avvisi
sempre favorevoli dell’AESA [Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare,
nrd.], dovrebbero essere rivalutate secondo protocolli più severi» (p. 55).
Per capire la portata dell’intreccio fra potere economico e politico in questo settore, è importante sapere che alcuni membri eminenti dell’AESA sono strettamente legate alla lobby mondiale delle biotecnologie: «tra essi c’era la presidente del consiglio di amministrazione, Diana Banati, membro anche del consiglio direttivo dell’ILSI (International Life Science Institute), un gruppo che fa lobbismo presso le industrie farmaceutiche, agrochimiche e agroalimentari, finanziato in particolare dal Monsanto». (p. 66). Da questo e altri esempi riportati nel libro, emerge chiaramente come il sistema di valutazione delle PGM non sia affatto al servizio dell’interesse pubblico.
Tuttavia, dopo aver dipinto un quadro così fosco, Testart non ci lascia senza speranza. Al contrario, ci rincuora svelandoci l’esistenza, nei laboratori e nella società civile, di una diffusa ribellione all’oscurantismo economico, al «cartello scientifico che difende interessi privati invece della verità», ed una crescente democratizzazione della tecnoscienza, i cui dati grezzi devono essere accessibili al pubblico, ovvero proprio a coloro che ne subiranno gli effetti.
Per capire la portata dell’intreccio fra potere economico e politico in questo settore, è importante sapere che alcuni membri eminenti dell’AESA sono strettamente legate alla lobby mondiale delle biotecnologie: «tra essi c’era la presidente del consiglio di amministrazione, Diana Banati, membro anche del consiglio direttivo dell’ILSI (International Life Science Institute), un gruppo che fa lobbismo presso le industrie farmaceutiche, agrochimiche e agroalimentari, finanziato in particolare dal Monsanto». (p. 66). Da questo e altri esempi riportati nel libro, emerge chiaramente come il sistema di valutazione delle PGM non sia affatto al servizio dell’interesse pubblico.
Tuttavia, dopo aver dipinto un quadro così fosco, Testart non ci lascia senza speranza. Al contrario, ci rincuora svelandoci l’esistenza, nei laboratori e nella società civile, di una diffusa ribellione all’oscurantismo economico, al «cartello scientifico che difende interessi privati invece della verità», ed una crescente democratizzazione della tecnoscienza, i cui dati grezzi devono essere accessibili al pubblico, ovvero proprio a coloro che ne subiranno gli effetti.
Bibliografia importante:
-
Charles Benbrook, Impacts of Genetically Engineered Corps on Pesticide Use
in the US – The Forst Sixteen Years, in «Environmental Sciences Europe», n.
24, 2012, p. 24.
-
G. E. Séralini, E. Clair, R. Mesnage, S. Gress, N. Defarge, M. Malatesta, D.
Hennequin, J. Spiroux De Vendomois, Long term toxicity of a roundup
herbicide and a roundup-tolerant genetically modified maize, in «Food and
Chemical Toxicology», settembre 2012.
-
S. Richard et al., Differential Effects of glyphosate and roundup on human
placental cells and aromatase, in «Environmental health Perspect», n. 113,
2005.
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